martedì 11 settembre 2012

Mi piace ascoltare le parole e vederle ancorarsi allo schermo, alla carta, alla tela, al frigo, al pensiero, come riflessi trattenuti da una pozzanghera, come note in sala di incisione, come uccelli sul filo. Sembrano leggere, instabili, pronte a cadere o a librarsi in volo, eppure immobili in quello stesso istante, come se non esistesse un luogo migliore dove andare. Fisse come spilli, sembrano scegliere senza esitazioni dove appuntarsi, correre verso il cuore segreto di una bambola voodoo che racchiuda l'anima dell'ignaro proprietario. Parole nascoste, molto vicine al silenzio che aiuta a ritrovare se stessi e a fronteggiare la paura, quella che avevo un tempo, quando credevo che sarei potuta cadere a un solo soffio, scivolare da ferma. Non vedevo me stessa a fuoco, la luce era quella sbagliata, la terra lontana, i fari ancora spenti. Una sera ho trovato parole sul pavimento, come se si fossero ferite contro un avversario. Le ho raccolte, ricomponendo il loro messaggio come si fa con un enigma. Ne ho vestito i panni, scivolando dentro una tela bianca smarrita da un saltimbanco di passaggio, e lì sono rimasta.

Nessun commento:

Posta un commento