Il viale delle Piagge mi accoglie come se non me ne fossi mai andata. I passi scivolano veloci sul fango portato dalla recente piena, lasciando le impronte vaghe della corsa. Il silenzio è interrotto solo dal mio respiro affannoso e dal suono felice delle campane della domenica mattina. Conto i passi solo all'andata, per cercare il ritmo che noi neofiti della corsa non conosciamo. Mi accorgo di aver dimenticato il lettore mp3 solamente a tre quarti dei cinque chilometri che ho deciso di affrontare, e solo perché incontro esperti runners che lo indossano con l'orgoglio della medaglia di guerra. Come gli evidenziatori nei taschini delle infermiere, che ne indicano il grado. Io sono ferma alla matita, ma questa mattina non mi importa. Il sentiero tra gli alberi è immerso nel verde, e mi sembra un giardino zen in cui ogni cosa sia disposta al proprio posto. Sono dove dovevo essere, ad ascoltare il canto del merlo solitario, a stupirmi di quante canne possano oscillare eleganti al poco vento. La solitudine mi tiene caldo come una coperta colorata, il rumore delle scarpe mi ricorda che non devo fermarmi. Sono alla ricerca di qualcosa che ho perso, intenta nel tentativo di riannodare il filo dove si è rotto. Non voglio inciampare nelle mie scarpe slacciate, o scivolare su una radice. Guardo dove metto i piedi, ma non mi fermo, nemmeno quando il respiro si fa faticoso. Un campanile pende rivelando un fascino antico, la strada curva verso casa. Gli amici mi aspettano, ho il sole sulla faccia. Inizia la discesa.
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