giovedì 7 febbraio 2013

Mi siedo con il mio silenzio, e aspetto. Attendo il fluire dei pensieri che scivolano, come acqua di fiume, lenti e costanti. Lo faccio sempre, fino a quando il velo non si scopre. In questi giorni il flusso si interrompe, non arriva fino alle dita. Blocco dello scrittore, lo chiamano. Idee che si accavallano in testa e che irruente si scontrano, mescolano e infine incastrano prima di scivolare lungo il tubo che porta alle falangi. L'imbuto è stretto per lettere che possono appartenere a parole che si somigliano, le storie non riescono a tornare alla spada piantata dai fratelli al bivio in cui si sono separati. Il peggio è che la paralisi è completa. Passa la voglia di leggere, di allontanarsi nell'altrove, di girare le pagine. E quella storia dei talenti torna continuamente in mente, quasi come se volesse piantarsi nell'animo la convinzione che tu li stai sprecando perché non ti applichi con abbastanza disciplina. Restano i sogni, e le frasi che si aggrappano al dormiveglia in cui costruisco le storie, che però si smarriscono con la luce del sole. Il rimpianto della malinconia indugia fino al giungere del giorno, mentre mi alzo con la sensazione di aver dimenticato qualcosa di importante. Una bambina che dice buon appetito a un piccione, per esempio. O l'immagine di un barboncino tutto elegante, che fasciato nel suo cappotto porta una signora nella borsetta. Non so se esista un incubo geloso che rivoglia indietro i suoi tesori, o si tratti di stanchezza. So di certo che, se la pazienza è la virtù dei forti, lo voglio dimostrare. In barba al maelstrom improvviso che mi trascina, mi butto nell'occhio del ciclone dove tutto è fermo. Mi siedo col silenzio e, vorticando, aspetto. Che tutto cessi, che mi appaia un confine, o un nuovo regno. Dove sedersi sotto un grosso albero, o in riva al mare, a scrivere. Infine. 

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